Antimafia. Ignazio Cutrò rinuncia alla protezione dello Stato

ignazio-cutròBIVONA – Fuori dal programma di protezione. È il gesto estremo, la richiesta di voler uscire dal programma di protezione contenuta in una lettera, inviata al ministero dell’Interno e al Servizio Centrale di protezione, dall’imprenditore siciliano Ignazio Cutrò, testimone di giustizia e presidente dell’Associazione nazionale che i testimoni di giustizia. “Lo Stato non è in grado di farci vivere tranquilli, di fornirci una protezione adeguata, di mettere in pratica quello che stabilisce la legge”, è il j’accuse di Cutrò.

Di fronte alla richiesta-denuncia di Ignazio Cutro’, il figlio Giuseppe, racconta all’Adnkronos la sua vita ‘blindata’ e i disagi che vive un ragazzo di 23 anni “apparentemente uno studente come gli altri” ma solo “apparentemente” perché “a differenza dei miei coetanei sia per andare all’università che per uscire vengo seguito dai Carabinieri che mi scortano. Un ragazzo di 23 anni con la scorta…e non è un politico? Sarà raccomandato!”, pensano gli altri. “Purtroppo – confessa -non è una cosa facile”. “Mio padre – racconta – ha permesso, grazie al suo aiuto e le sue testimonianze, di portare in carcere e fare condannare alcuni esponenti della criminalità organizzata locale”. “Purtroppo subisci per i crimini a danno dei tuoi cari e ti trovi lì, impotente a non poter fare null’altro per assisterli maggiormente. Perché quando la mafia, anche con mano invisibile, viene a bussare alla tua porta, non è che, visto che siamo quasi a Natale, ti porta doni. Ti porta mezzi incendiati, danneggiamenti ai cantieri, lettere anonime, cartucce dietro la porta, bottiglie incendiarie, lumini funebri e tanti altri strumenti di danneggiamento o intimidazione”. E “se tuo padre denuncia, e ti trovi in Sicilia, i tuoi amici scappano; le persone che ritenevi care, spariscono dalla sera alla mattina”. “Poi nel 2011 – spiega – è arrivata anche per noi la protezione, qualcosa è cambiato; sostanzialmente ti sposti con dei carabinieri armati”. Ma – denuncia Giuseppe – da tre anni a questa parte “mai e ribadisco mai, nessun rappresentante delle istituzioni mi ha chiamato per chiedere cosa accade ad un ragazzo con la scorta o quali possono essere gli interventi per migliorare questa forma di protezione”. “Qualcuno – chiede Giuseppe – provi a mettersi nei nostri panni, qualcuno inizi a vedere le cose con i nostri occhi o ci tenga semplicemente in considerazione, allora cambierà anche il suo modo di vedere le cose e forse comprenderà lo stato di abbandono e disagio in cui viviamo. Nessuno vuole riconoscimenti o esigere la pietà – conclude – vogliamo solo essere gente normale per le scelte normali che abbiamo fatto senza essere ritenuti merce di scambio”.

Fonte: Adnkronos