PRIZZI – Ha vissuto senza far rumore, volendo quasi restare nell’ombra, Padre Giuseppe Scoma, il frate francescano, di origini prizzesi, che ha dedicato la sua intera vita al prossimo. Eppure l’eco delle sue azioni concrete ancora risuona vivo nel cuore di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di ammirarne le qualità come frate e, soprattutto, come uomo. Senza mai vantarsi delle sue, pur grandissime, azioni solidali, Padre Giuseppe è poco conosciuto dai suoi stessi concittadini che, anche in occasione della sua commemorazione, lo scorso 25 agosto a Prizzi, hanno partecipato poco numerosi al momento dedicato al suo ricordo.
Paradossalmente, l’azione di questo grande uomo ha ricevuto l’attenzione che merita nel lontano Zambia, la regione dell’Africa dove il frate ha operato, per gran parte della sua vita, ricevendo, nel 1987, la più alta onorificenza nazionale, per i suoi meriti umanitari sia nel campo sociale che culturale, da parte del Capo dello Stato, Kenneth Kaunda. E, mentre molti dei suoi concittadini prizzesi ne ignorano ancora la storia, lo Zambia non ha mai dimenticato l’immensa umanità di Padre Giuseppe Scoma. Lo scorso 26 giugno, la visita alla sua tomba del Ministro della Giustizia dello Zambia, Ludovico Sondashi, ha emozionato quanti lo hanno accolto nel piccolo paese siciliano. Durante la commemorazione, molti hanno ricordato le lacrime di Virginia Sondashi, la moglie del Ministro che, altrettanto commosso, ha ricordato Padre Giuseppe come un «secondo padre». Instancabile e coraggioso, durante la sua intera vita, Padre Giuseppe non ha mai smesso di preoccuparsi delle esigenze di quella popolazione afflitta dalla povertà e la loro testimonianza di gratitudine è arrivata fino in Sicilia, attraverso le parole del Ministro Sondashi, uno di quei ragazzini dai piedi scalzi cresciuti con Padre Giuseppe nel villaggio di Solwezi, ora Ministro della Giustizia nel suo Paese, grazie all’opera umanitaria del frate.
Si riesce a comprendere l’immensa gratitudine degli Zambesi per Padre Giuseppe leggendone la biografia. Nonostante la difficoltà di una missione in un territorio di non facile accesso (siamo nel cuore della foresta di Solwezi, nell’Africa meridionale), con grande coraggio e ammirevole pazienza, Padre Giuseppe costruisce chiese, conventi, scuole, ospedali, un lebbrosario, ancora oggi attivo, e perfino una pista di atterraggio per le emergenze e un lago artificiale per l’approvvigionamento idrico e lo sviluppo dell’energia elettrica nel territorio circostante. Quotidianamente Padre Giuseppe fa visita ai lebbrosi del villaggio, trascorrendo del tempo con loro senza timore del contatto fisico: «Ho avuto modo di vederlo insieme a quelle persone, sembrava uno di loro. Scherzava, faceva ginnastica, cantava e rideva insieme a loro con una tale naturalezza che quasi veniva voglia di unirsi a quella festa quotidiana al lebbrosario», racconta Padre Giorgio Leone. «Io? Siete pazzi, io non ho fatto niente» rispondeva a quanti, tornato in Sicilia, gli chiedevano come riusciva a fare quelle grandi cose con una tale naturalezza e semplicità. Il senso di solidarietà e l’idea di uguaglianza hanno animato la sua intera vita e quella profonda comunione con il prossimo. Padre Giuseppe non ha mai dimenticato l’Africa e anche quando, negli ultimi anni di vita, fu costretto a tornare in Sicilia per motivi di salute, non smise di preoccuparsi per quella seconda famiglia che aveva lasciato in Africa. Convinto che pregare e cantare nella loro lingua li avrebbe resi protagonisti del momento religioso, nella tranquillità del Convento Sacro Cuore alla Noce di Palermo, completa quell’intensa attività di traduzione, in lingua kaonde, di vari libri liturgici, iniziata in missione e terminata con la redazione definitiva e la stampa dei testi, ancora oggi in uso nella diocesi di Solwezi.
Si spegne a Palermo nell’agosto del 2005, circondato dalla sua famiglia, sempre vicina a lui anche quando ometteva alcuni particolari della sua vita da missionario per non far preoccupare nessuno. «Si prendeva carico di tutti – racconta commossa Rosalia Spallina, la nipote – non voleva mai dare dispiaceri. Quando partì, nel 1955, non disse niente a nessuno. Scrisse dalla nave dicendo che era in viaggio per l’Africa e di perdonarlo per non aver salutato, ma non voleva far soffrire i suoi cari per il distacco». L’animo immenso di Padre Giuseppe lo seguiva ovunque andasse e «accanto a lui, sembrava quasi di stare in paradiso», così lo ha celebrato Padre Felice Fiasconaro, Superiore del Collegio Serafico Internazionale di Roma. E così lo ricordano tutti i (pochi) presenti alla commemorazione, una persona eccezionale, un «santo silenzioso» – per usare le parole di Fra Gianbattista Spoto, Ministro Provinciale dell’Ordine dei Frati Minori di Sicilia – la cui storia è stata dimenticata o, peggio, mai raccontata veramente.
«Dietro la sua figura, c’è ancora tanto da scoprire. Come cittadini prizzesi, è il caso di andare oltre le poche notizie sulla sua vita e di iniziare a conoscerlo, apprezzarlo e seguirne il percorso fino in fondo», conclude Padre Fiasconaro. E dello stesso avviso è anche Padre Leone che fa un appello ai giovani: «Prizzi deve tenere viva la memoria di questa figura grandiosa, in modo che sia soprattutto esempio di grande umanità per i giovani di oggi che, in qualunque campo, possono essere missionari e fare del bene». Intanto, l’auspicio è che l’intitolazione di una strada della cittadina intitolata a Padre Giuseppe Scoma, già deliberata dal Comune di Prizzi, diventi presto realtà. Forse, in questo modo, quei pochi fortunati che ancora alzano gli occhi da terra, inizieranno almeno a chiedersi chi era quest’uomo e ne scopriranno la storia di grande umanità.
Photo © Rosalia Spallina
Giusi Francaviglia