Prizzi, gli studenti dell’I.T.C.G.I. occupano l’Istituto contro “la buona scuola” di Renzi

occupazione2PRIZZI – Dopo tre giorni di Assemblea Permanente, durante la quale si è discusso dei problemi che colpiscono la scuola e un rifiuto alla richiesta di avviare un periodo di autogestione della scuola, gli studenti dell’I.T.C.G.I. di Prizzi hanno deciso, all’unanimità, di occupare l’Istituto a partire dal 24 novembre. Fattori scatenanti della protesta e oggetto di discussione, la riforma sulla scuola pubblica, la mancata fornitura di gasolio per il funzionamento dei riscaldamenti, i tagli alla spesa pubblica destinata alla scuola e le carenze strutturali degli edifici scolastici. Durante i giorni di occupazione, gli studenti hanno svolto attività formative e continuato il dibattito sulla riforma della scuola.

Alla base della protesta, i motivi che agitano gli studenti di gran parte delle scuole italiane, perplessi sulla “bontà” dei 12 punti della “buona scuola” renziana e della  riforma sul lavoro che già nei mesi scorso ha visto studenti e lavoratori scendere nelle piazze. Occupazioni e autogestioni interessano infatti molte scuole italiane che, già da un mese, dibattono sui punti critici delle proposte di governo. La Sicilia è la quarta regione con un più alto numero di dibattiti nelle scuole tra il 15 ottobre e il 15 novembre, periodo di tempo in cui il Governo stesso ha avviato una rete di dialogo tra le scuole permettendo loro di fare le proprie proposte sulla riforma della scuola tramite il portale online de #labuonascuola.

Il Governo Renzi ha presentato il progetto “La Buona Scuola” lo scorso settembre 2014: una serie di linee97521 guida, riassumibili in 12 punti, che punta a riformare il sistema scolastico italiano. Tra i punti, il contrasto al precariato con l’assunzione di 150 mila docenti e la chiusura delle Graduatorie ad esaurimento, l’accesso al ruolo di docente solo per concorso, un piano di assunzioni che escluda le supplenze per favorire invece la continuità didattica, l’introduzione di criteri di valutazione e merito nelle carriere dei docenti e la loro formazione continua e obbligatoria, la semplificazione amministrativa, piano formativo nuove alfabetizzazioni (competenze digitali, lingue straniere, economia), l’alternanza Scuola-Lavoro obbligatoria negli ul­timi 3 anni degli istituti tecnici e professionali, incentivare gli investimenti dei privati. Un progetto che punta a coinvolgere attori non istituzionali nel processo decisionale di policy making, facendo esplicitamente appello al “Paese Intero”. Nonostante il progetto presenti delle proposte interessanti, il Paese sembra però non aver risposto secondo le aspettative del Governo. I dibattiti avviati presso le scuole italiane sul progetto hanno messo in luce un background d’intenti alla base della riforma che non corrisponderebbe alle reali esigenze di una scuola sempre meno “buona”.

Un progetto dal retrogusto anglosassone, pieno di tante belle parole e tanti buoni propositi, che guarda al futuro puntando tutto sull’innovazione. Presupposti lodevoli in superficie ma che, forse, non rispondono a una visione realistica di una realtà italiana (e non inglese o americana), frenata dalla crisi, che fatica ad andare al passo coi tempi. Come se non bastasse, gli effetti di tale realtà si abbattono soprattutto su coloro i quali non riescono a sostenerne il peso. Ecco che un progetto sulla riforma della scuola che non lascia spazio al tema del diritto allo studio – come evidenziato dal Rapporto #LABUONASCUOLA vista dagli occhi degli studenti – Una guida critica pubblicato online dal Sindacato studentesco dell’Unione degli Studenti di Roma – che garantisca a tutti, indipendentemente dalla propria condizione sociale ed economica di partenza, di poter studiare, diviene una pesante e preoccupante lacuna. Secondo questa lettura critica della “buona scuola”, questa sembrerebbe diventare, più che un bene pubblico per il Paese Intero, un bel lusso per pochi. L’introduzione del sistema di valutazione e merito dei docenti, prevedendo che «ogni 3 anni, 2 professori su 3 avranno in busta paga 60 euro netti al mese in più grazie ad una carriera che premierà qualità del lavoro in classe, formazione e contributo al miglioramento della scuola», trasformerebbe inoltre la scuola in luogo competizione fra i docenti piuttosto che di cooperazione, contribuendo a creare una società dell’individualismo il cui unico motore non è tanto la qualità della formazione quanto l’incentivo economico. Una scuola, insomma, che diventa impresa “producendo” il diritto allo studio e combattendo la dispersione scolastica tramite l’uso di strumenti finanziari e d’investimento. «Il diritto allo studio è il principale strumento per combattere la dispersione scolastica, non prestiti o finanziamenti legati a logiche di arricchimento e speculazione. Il diritto allo studio, come tutti i diritti di cittadinanza, non può essere sottoposto a “finanziarizzazione”, non è una merce redditizia», il grido degli studenti italiani.

Giusi Francaviglia