Appassionato di libri e di lettura, mi affascina sempre entrare in una libreria o rovistare tra le bancarelle per cercare libri che mi potessero interessare. Di solito prediligo testi riguardanti la Sicilia e la Storia Patria in generale. Qualche anno fa mi incuriosì un libro di di Danilo Dolci, “Racconti Siciliani”, storie raccolte dall’autore tra la povera gente della Sicilia centro occidentale, dal 1952 al 1960.
Danilo Dolci, nativo della Slovenia nel 1924, dopo aver vissuto alcuni anni in diverse località italiane a causa del lavoro di suo papà che era un ferroviere, si trasferì definitivamente in Sicilia nel 1952 tra Partinico e Trappeto dove morì nel 1997. E’ stato un sociologo un educatore e un poeta. Ma fu anche un attivista della nonviolenza, promuovendo lotte contro il fenomeno mafioso, la disoccupazione, l’analfabetismo e le ingiustizie sociali, per questo suo instancabile impegno fu soprannominato Gandhi della Sicilia o Gandhi italiano.
Leggendo i vari racconti raggruppati in questo libro, con mia grande sorpresa, mi resi conto che uno di essi, dal titolo “Rosaria”, era ambientato nei nostri territori di Cammarata e San Giovanni Gemini. Luoghi, usanze, leggende, feste, erano proprio le nostre. Un racconto di fantasia ma le cui fonti sono state sicuramente riferite da persone del luogo. Rosaria, una ragazza che vive in una famiglia con arcaiche tradizioni patriarcali, narra con meticolosa chiarezza il progetto del padre di farla sposare a tutti i costi con suo zio, fratello di sua mamma, contro il suo desiderio di diventare suora. Il matrimonio si fa, ma una serie di sventure, si abbattono su di loro. Nell’ esporre la storia, Danilo Dolci, descrive il contesto ambientale in cui vive Rosaria, e proprio in questa narrazione che troviamo riferimenti sorprendenti sui nostri due paesi e la devozione a Gesù Nazareno, la cui solenne festa, doveva celebrarsi in questi giorni.
Riporto alcuni brani del racconto:
“In principio fu che mi fecero sposare senza le nostre idee, senza affetto di uno e dell’altro. Siccome il fondatore di questa proprietà sarebbe stata una zia nostra. Questa zia aveva bisogno di aiutarla sia in casa che nella campagna. Allora io ci sembrava bene. Mio marito si trovava soldato ed era fratello di mia mamma. Io non avevo voglia di sposarmi che avevo pronto tutto per farmi suora.
……. Si avvicinava ancora la festa di Gesù Nazzareno, che è la festa del paese, che tirano il carro di legno quando è parato, alto venticinque metri, coi buoi, diritto fino alla piazza; una festa così non si fa in nessun paese.
….. Quando c’è malo tempo e piove assai, diciamo le litanie dei Santi, suonano le campane a scongiuro, i parrini possono stagliare la coda del drago: l’aria che gira. Quando c’è cattivo tempo mettono il Signore esposto, ma la gente chiede che esca Gesù Nazzareno e ci vanno dietro. E noi piangiamo, ci mettiamo le spine in testa, ma gli uomini soli, le donne no, solo il rosario. Ma la gioventù si vergogna di ste cose e non si batte la schiena con la disciplina di ferro. Gridiamo, piangendo: Pietà e misericordia, Gesù Nazzareno, il pane ci dovete dare. Poi cantiamo: Perdono mio Dio, perdono, pietàne, viva la Croce.
Per il pane si prega, e le fave. Tutta la sciarra è per il pane. Certi anni ci sono i morbi; la campa e la sirina per le fave. E sempre si prega il Signore, si fa le quarantore. Due anni addietro hanno messo fuori Gesù Nazzareno e prima che fosse entrato in chiesa, già pioveva. E anni addietro pioveva, pioveva che ci scolava l’acqua addosso assai. Il nostro Gesù Nazzareno è colore caffè. Poi l’avevano fatto bianco, color di carne, e l’indomani aggiornò nero ancora com’è adesso. L’onnipotenza di Dio è grande. Quanti Crocifissi c’è, il più grande è Gesù Nazzareno. Quando uno è ammalato grave, si piglia la sua corona di spine e ci si mette dentro una lampada per farlo guarire. Il figlio di Filippone stava male, lo davano per morto e ce lo fecero, c’è stato buono: il padre aveva promesso la casa.
Gesù Nazzareno vuole poi i mortaretti, un anno non l’hanno sparato, e per castigo Gesù Nazzareno ha mandato i bruchi in fila dove dovevano esserci i mortaretti fino all’altar maggiore. E un altra volta vennero fuori le lumache nude. Fino all’altar maggiore arrivarono.
La sfortunata storia di Rosaria prosegue per diverse pagine, dove fra l’altro vengono riportate delle curiose leggende locali.
Il testo completo è pubblicato nel volume “Racconti Siciliani” edito da Sellerio, in ogni caso se qualcuno è interessato mi può contattare.
Concludo facendo un appello ai Sindaci dei nostri due Comuni, affinché si possa intestare una via a questo illustre personaggio.
Enzo Li Gregni