A 20 anni muore durante un allenamento di MMA. Il caso Lena e i suoi misteri

PALERMO – Volevano farlo passare per malore ma lo studente di medicina di Cammarata, morto due anni fa durante un allenamento di Mixed Martial Art, in realtà era sano come un pesce.  L’autopsia non ha lasciato scampo ai dubbi o forse, peggio ancora, alla volontà di mistificare la realtà: il ragazzo è stato ucciso con un colpo sferrato alla testa. Qualcuno, quindi, quel danno ipossico-ischemico emorragico a causa del trauma cranico glielo ha provocato.

Domani la prima udienza preliminare. Il pubblico ministero, Ilaria De Somma, dopo aver esaminato gli atti si è pronunciato e ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo nei confronti di Giuseppe Chiarello, palermitano di 40 anni, Roberto Lanza, messinese di 27 eGiuseppe Di Paola, palermitano di 59 anni.

Proprio Lanza e Chiarello si stavano allenando con Giuseppe Lena nella palestra Harmony Body System di via Stazzone a Palermo. Doveva essere un giorno come un altro per questo “brillante e generoso ragazzo”, come tutti lo ricordano a Cammarata, in provincia di Agrigento. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto.

Ecco cosa è successo secondo la ricostruzione del magistrato: Lanza gli sferra pugni alla testa, Chiarello esegue una proiezione sul tappeto di Giuseppe che cade e sbatte violentemente il capo… quindi il panico… il ragazzo perde i sensi, i colpi sono stati troppo forti e alla fine la corsa in ospedale, forse avvenuta troppo tardi, per cercare di salvarlo. Dopo due giorni di agonia il suo elettroencefalogramma è piatto. Giuseppe è morto, così per un semplice allenamento, e con lui sono morti dentro anche i genitori e il fratello, Franco, Tonina e Marco.

Perché quei pugni così feroci? Cosa è realmente successo in quelle ore?

Di Paola, proprietario della palestra e presidente dell’associazione sportiva dilettantistica New Center Body System è imputato perché non affiliato al C.O.N.I proprio per la disciplina MMA e, cosa ancor peggiore, in palestra non aveva istruttori tecnici riconosciuti dalla FIGMMA. Ma nonostante ciò teneva i corsi e gli allenamenti.

Eppure, a poche ore dalla tragedia, la titolare sosteneva con sicurezza la versione secondo la quale Giuseppe stava male, aveva mal di testa e che l’istruttore che quella sera allenava i ragazzi era un “esperto” tanto che gli aveva consigliato di sedersi ma, sempre secondo questa versione, sarebbe stato Giuseppe a insistere e allenarsi.

Non solo… diceva anche che non c’era stato alcun calcio e che la lezione era appena iniziata quindi si trattava solo di una tragica fatalità.

“Io e mio marito siamo andati a trovare il ragazzo in ospedale ma tutti ci guardavano come se fossimo dei colpevoli”, aveva inoltre aggiunto.

Ma adesso “la fatalità” di cui parlava la signora ne porterà tre in tribunale per omicidio colposo. E sarà solo l’inizio di una battaglia portata avanti da due genitori che vogliono giustizia.

Giorgia Mosca
NewSicilia.it