3 febbraio, festa di San Biagio. La ginnasio del “Virgilio” ne riscopre il culto

RICERCA-SU-SAN-BIAGIOMONTI SICANI – Appassionati di quelle tradizioni locali che il tempo va sempre più scalfendo condannandole quasi all’estinzione. Appassionati di quelle memorie che sopravvivono, seppur in maniera sfumata, grazie a chi ancora continua a portarle avanti. Appassionati delle loro radici storico-culturali perché consapevoli che racchiudono in sé le condizioni del loro essere.
In una società sempre più votata all’apatia, la IV ginnasio del Liceo Classico “Virgilio” diretto dalla preside Calogera Genco rappresenta un’inversione di tendenza. Trenta giovani studenti che hanno scelto gli studi classici non a caso, ma con quella consapevolezza, magari in parte da scoprire, di andare alla ricerca di “valori” che hanno portato il mondo a progredire.
Così, il termine “baculum” ricercato in classe sul vocabolario di latino insieme alla docente Gabriella Barba diventa l’occasione per riscoprire un pezzo di storia locale e il suo significato. Da quel “bastone” tradotto da una lingua definita “morta” ecco arrivare al bastone pastorale, simbolo dell’autorità del Vescovo, con cui viene rappresentato San Biagio.
Ma non c’è solo il bastone a identificare il Santo. Cammarata, Campofranco, Bompensiere, Milena, Mussomeli, San Giovanni Gemini, Sutera, Vallelunga e Villalba, hanno ciascuno i loro biscotti con la loro forma tipica: rotonda per i cuddureddi, a simboleggiare il collo, a forma di tonsille per i cannaruzzeddi (gola), a forma di croce di Sant’Andrea a ricordare le due candele poste sotto il mento secondo il rito della “benedizione della gola”. Tutte informazioni ricavate da una ricerca fatta da ginnasiali desiderosi di condividere con i compagni la propria identità, per scoprirsi più simili che mai nelle diversità.
Una ricerca commentata ieri a lezione portando in aula, in occasione della festività di San Biagio, i tradizionali biscotti del loro paese.
“San Biagio era un medico armeno vissuto nel IV secolo e Vescovo di Sebaste, la sua città. – scrivono – Secondo la tradizione una bambina, mangiando del pesce, stava per morire soffocata a causa di una lisca che aveva accidentalmente inghiottito. La mamma, disperata, chiamò il Vescovo che accorse e salvò la bambina. Per questo San Biagio è considerato il protettore della gola.
Fin dal 1500 risulta molto diffusa a Mussomeli, come testimonia lo storico Giuseppe Sorge, la devozione per San Biagio nella chiesa di San Giovanni Battista, con luminarie e processione. Il giorno 3 febbraio nella chiesa di San Giovanni, fino alla prima metà del Novecento, si benediceva la gola nel modo seguente: il prete teneva in mano due candele accese ed unite tra di loro a forma di croce di Sant’Andrea, le avvicinava alla gola del fedele dicendo :«Per intercessionem Sancti Blasii liberet te Dominus a malo gutturae. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen».
Nella maggior parte dei nostri paesi, il 3 febbraio continuano, oggi, ad essere celebrate le Sante Messe in onore del Santo, ma nulla di più. Più radicate sono rimaste, invece, queste tradizioni a Sutera (dove ancora oggi avviene la benedizione della gola) ma, soprattutto, a San Giovanni Gemini e Cammarata. Per la festa di San Biagio, i fedeli accorrono in Chiesa dove durante la Messa viene loro benedetta la gola attraverso l’imposizione di due o tre candele, simboleggianti la doppia natura di Cristo e la SS. Trinità. Al termine della Messa è portata in processione la statua di San Biagio. Quest’anno però a San Giovanni Gemini, data la coincidenza della festa con le Quarantore, il simulacro non sarà portato per le vie del paese. Anche qui si preparano per l’occasione i cuddureddi, completamente diversi da quelli dei paesi vicini. Qui sono degli anellini di pane azzimo, duri da mangiare, che vengono benedetti durante le messe e poi consumati dai fedeli. Alcuni panifici confezionano dei particolari cuddureddi decorati, che andranno ad abbellire la statua del Santo. In passato la festa era preceduta da un’ottava, durante la quale i tammurinara giravano per le vie del paese, suonando qualcosa a chi offriva loro da bere.”
Insomma, come hanno concluso i ragazzi del “Virgilio” “il mondo classico è indubbiamente alla base della nostra società, anche di quegli aspetti che non penseremmo mai collegati alle “lingue morte” che, in realtà, sono molto più vive di quanto crediamo.
La nostra ricerca ci ha condotti di nuovo al punto di partenza: il mondo classico. Sarà un caso?”