Lercara Friddi, arrestato dopo 24 anni per un omicidio di mafia allora irrisolto

LERCARA FRIDDI – Si conclude dopo 24 anni la complessa indagine che ha portato in carcere uno degli esecutori materiali dell’omicidio di Michele Salvatore Gallina, lercarese, classe 1944, scomparso l’11 aprile 1988 e ritrovato cadavere, incaprettato e carbonizzato il 18 aprile successivo nelle campagne di Vallelunga Pratameno (Cl). I carabinieri hanno arrestato Angelo Romano, commerciante pregiudicato lercarese di 57 anni, con  l’accusa di omicidio volontario aggravato in concorso, con l’aggravante del metodo mafioso in pregiudizio.

Il provvedimento è stato emesso dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo ed è scaturito a seguito della ricostruzione dei carabinieri del gruppo di Monreale, con il supporto dei militari della compagnia di Lercara Friddi. Le indagini hanno dimostrato inequivocabilmente che Romano fece parte del commando che uccise con un colpo d’arma da fuoco Gallina, tra l’11 e il 17 aprile 1988, bruciandone successivamente il cadavere che venne lasciato nel territorio della provincia di Caltanissetta per sviare le indagini.

Angelo Romano si trova adesso presso la casa circondariale “Cavallacci” di Termini Imerese a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Seguiamo adesso la ricostruzione storica che ha portato gli inquirenti all’arresto.

I militari del Nucleo Investigativo del gruppo carabinieri di Monreale e della compagnia di Lercara Friddi, coordinati dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale di Termini Imerese (Giacomo Urbano e Antonia Pavan), aggregati per tali indagini alla dda di Palermo (procuratore aggiunto Vittorio Teresi) da alcuni mesi hanno riaperto vecchi fascicoli e dato il via alle indagini su omicidi di mafia rimasti irrisolti, avvenuti nel passato in provincia di Palermo.

Tra questi, uno dei casi insoluti più misteriosi è rimasto, negli anni, quello di un commerciante lercarese di quarantaquattro anni. Era l’11 Aprile del 1988 quando da Lercara Friddi scomparve Salvatore Michele Gallina. L’uomo, emigrato da Lercara Friddi negli anni ’60, con alle spalle qualche precedente penale di poco conto e un matrimonio andato a male con Lucia Nicolosi, si era stabilito a Roma con la sua  nuova compagna; Totò, come tutti lo chiamavano in paese, faceva ritorno a Lercara Friddi, suo paese natale, solo per far visita alla madre anziana e malferma di salute. Il 18 aprile 1988 il suo cadavere, incaprettato, fu inspiegabilmente ritrovato carbonizzato nelle campagne di Vallelunga Pratameno, piccolo abitato della vicina provincia nissena.

La fine degli anni ottanta era stata – anche a Lercara Friddi – un’epoca di sangue, con l’uccisione di alcuni esponenti di spicco appartenenti alla storica famiglia lercarese e del boss Francesco Montalto (il cui delitto fu eseguito nel 1981 da Salvatore Facellasu preciso ordine di Totò Riina nel tentativo di riorganizzare la “famiglia” di Lercara Friddi, sciolta a seguito dell’uccisione di Luigi Pizzuto, capo del mandamento di Castronovo di Sicilia).

Successore di Francesco Montalto fu Vincenzo Lo Cascio che, arrestato dai Carabinieri di Lercara Friddi nel settembre del 1983 per gravi reati assieme al fratello Leonardo, lasciò lo scettro della famiglia lercarese al padre Girolamo ( detto Mommo), oramai anziano. Vincenzo e Leonardo furono poi assassinati – sempre per mano mafiosa – rispettivamente nel 1989 e nel 1991.

Ma quali sono state le dinamiche che hanno portato all’uccisione di Salvatore Michele Gallina? Chi è stato il mandante e chi gli esecutori dell’efferato crimine? Le risposte sono intimamente connesse con il funzionamento – oramai palese agli investigatori – dell’organizzazione di Cosa Nostra.

Totò Gallina andava “eliminato” perché dava fastidio; “andava per conto suo” e chiedeva denaro anche a imprenditori lercaresi vicini ai corleonesi di Totò Riina. Proprio per questa ragione i Lo Cascio, reggenti della famiglia di Lercara, deliberarono la morte di Salvatore Gallina e incaricarono dell’esecuzione i loro uomini più fidati e capaci, Angelo Romano e Lillo Pecoraro (deceduto nel 1996); questi ultimi attirarono con un pretesto il Gallina in un terreno di proprietà dei Lo Cascio sito nella parte alta del paese e qui prima lo strangolarono, poi lo finirono con un colpo d’arma da fuoco alla testa.

Imperdonabile però è l’errore commesso dal commando; il cadavere di Totò Gallina venne trasportato a Vallelunga Pratameno, nel Nisseno, dove venne dato alle fiamme assieme alle carcasse di alcuni pneumatici nel cofano di una Alfa Romeo Giulietta rubata, provocando così l’ira del capo della provincia di Caltanissetta “Piddu” Madonia nonchè vice di Totò Riina.

Nelle regole di Cosa Nostra uccidere un uomo senza aver chiesto ai vertici l’autorizzazione e farne ritrovare il cadavere un’altra provincia rappresenta uno “sgarbo” che deve essere punito con altrettanta ferocia; sarà questa la causa (forse la più importante) che porterà all’assassinio – pochi anni più tardi – sia di Vincenzo che Leonardo Lo Cascio.

Del grave “incidente diplomatico” si era occupato, investito della faccenda direttamente da Totò Riina, il capo del mandamento di Caccamo, Antonino Giuffrè; questi aveva provveduto a riferire gerarchicamente dapprima a Provenzano e successivamente a Riina le ragioni per le quali nessuno – nemmeno il diretto interessato “Piddu” Madonia – fosse stato informato della necessità di uccidere Totò Gallina bruciandone i resti in un territorio diverso da quello di Lercara Friddi.

GALLINA 1988

Angelo Romano, meccanico lercarese ed esecutore materiale dell’omicidio assieme a Lillo Pecoraro[1], cadde però in disgrazia non molto tempo dopo tanto che fu lo stesso Giuffrè, sentiti i vertici dell’organizzazione, a deliberarne l’assassinio perché ritenuto persona oramai assolutamente pericolosa ed inaffidabileLa sorte fu però favorevole al Romano che, nonostante gli appostamenti fatti dal capo del mandamento di Caccamo in persona per eliminarlo, era nel frattempo riuscito a lasciare indenne l’isola trovando rifugio in Belgio; il successivo arresto di Giuffrè gli aveva salvato definitivamente la vita.

Già noto negli ambienti giudiziari perchè, unitamente a Rosolino Pecoraro e a Giuseppe Piazza, era stato ritenuto organico alla famiglia mafiosa di Lercara Friddi, nel giugno del 1995 i magistrati della procura di Termini Imerese avevano spiccato nei suoi confronti un ordine di carcerazione poiché doveva scontare una pena cumulativa di sei anni e mezzo per un omicidio colposo (condanna relativa ad un incidente stradale avvenuto nel 1983), una ricettazione di assegni rubati e una tentata estorsione nei confronti di un dentista di Mussomeli “reo” di aver aperto uno studio a Lercara Friddi. La latitanza si era conclusa due anni dopo con il suo arresto a Liegi, in Belgio.

Dopo oltre vent’anni dunque, la Giustizia ha raggiunto dunque il responsabile di un altro efferato omicidio di quel terribile e sanguinoso periodo a cavallo tra gli anni ottanta e gli anni novanta, iniziato con la guerra di mafia condotta dai Corleonesi per il controllo della città di Palermo (e dell’intera Sicilia) e conclusosi con l’uccisione – nel 1992 – dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.


[1] Rosolino Pecoraro, detto Lillo,  fu rinvenuto cadavere carbonizzato, all’interno della propria Fiat Uno, in contrada Pettineo, agro di Lercara Friddi, nel lontano 14 Giugno 1995. L’uccisione avvenne con le medesime modalità dell’omicidio di Salvatore Gallina. Il delitto è – per ora – ancora insoluto.