Un affresco della Sicilia di sempre nella «Baarìa» da Oscar di Tornatore

DSCF3698LERCARA FRIDDI – Oltre 20 milioni di euro di budget (25 per l’esattezza) messi a disposizione dalla produzione, 25 settimane di riprese e nove mesi di preparazione, 210 personaggi interpretati da 63 attori professionisti e 147 non professionisti, 20 mila comparse. E ancora: le musiche di Ennio Morricone eseguite da 1.431 musicisti in 25 turni di registrazione, 174 scene, 122 location, una troupe di 230 persone e 350 tecnici alle prese con le ricostruzioni ambientali del set.

Totale: 2 milioni 105 mila 181 euro di incassi ai botteghini nel primo fine settimana di proiezione. E pensare che non si tratta di un kolossal americano, ma di una pellicola “made in Sicily”: «Baarìa» di Giuseppe Tornatore, il film scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar 2010.

«Baarìa» ha prevalso sugli altri quattro film “pretendenti”: «Fortapasc» di Marco Risi, «Il Grande Sogno» di Michele Placido, «Si può fare» di Giulio Manfredonia e «Vincere» di Marco Bellocchio. Adesso l’ultima pellicola di Tornatore dovrà superare altre due selezioni per ottenere l’ambita nomination che – a distanza di 20 anni – lo proietta verso il sogno della seconda statuetta dorata. Ma per adesso bisogna solo pazientare: la nomina dei cinque film che si contenderanno la statuetta sarà infatti effettuata il 2 febbraio 2010, mentre la cerimonia di consegna degli 82esimi Premi Oscar si svolgerà il 7 marzo.

Intanto – nonostante le recensioni poco lusinghiere della critica – Tornatore si gode il successo di pubblico che ha accolto benevolo ed entusiasta la sua «Baarìa».

Un film corale, che racconta l’epopea quotidiana di una famiglia – quella dei Torrenuova – attraverso sei decenni di storia, dagli anni ’30 agli ’80 del ‘900. Storia internazionale, italiana, siciliana, bagherese. Ma anche lercarese, palermitana,  ragusana, catanese. Un film che è stato realizzato quasi interamente in Tunisia, dove è stata ricostruita una Bagheria “più vera di quella vera” e dove i tunisini sono stati “più autentici come siciliani dei siciliani di oggi”, come ha spiegato il regista. Una pellicola reale e fantastica. Comica, tragica. Dinamica, scattante ma fissa, immobile. Esaltante, noiosa. Una pellicola ricchissima di dettagli, farcita con preziosi cammei e piccoli documentari – come quello chiacchieratissimo della macellazione di un bovino che ha fatto saltare sulle poltrone gli esponenti della Lav, la Lega antivivisezione – ma piena di contraddizioni.

Ed è proprio su questo aspetto che la critica cinematografica è stata più feroce con Peppuccio Tornatore. Magari, forse, anche a ragione. Spesso infatti le scene possono risultare confuse, pasticciate, dare l’impressione di indugiare eccessivamente sui dettagli. E spesso anche i dialoghi non aiutano: soprattutto nella versione realizzata ad hoc per gli spettatori della Trinacria, interamente in dialetto siciliano, gli stessi siciliani hanno fatto fatica a seguire l’intreccio.

Ma c’è una cosa che rende grande il film di Tornatore – anche più di un kolossal, se fosse mai possibile superare questa definizione – e che lo fa unico, speciale. Un capolavoro.

La Sicilia.

La nostra Terra. Tutta lì, racchiusa nel piccolo grande universo di «Baarìa».  

E «Baarìa» ha proprio tutte le caratteristiche per assurgersi ad affresco della nostra Sicilia.

Di ieri, di oggi. Di sempre.

Dove il tempo e lo spazio si annullano nella storia di una famiglia che è contemporaneamente storia di tutto il popolo siciliano, italiano.

Del mondo.