Cammarata: ricordato il centenario dell’incendio della chiesa di San Domenico

chiesa san domenico incendiataCAMMARATA – Con una liturgia commemorativa celebrata da Padre Carlo Longo sabato 17 agosto nella chiesa di San Domenico, è stato ricordato l’incendio che cento anni fa, nella notte tra il 16 ed il 17 agosto 1913 distrusse il tetto e l’abside della chiesa danneggiando irreparabilmente diverse opere d’arte di grande pregio.

Pubblichiamo di seguito la ricostruzione storica di quell’evento, fattaci pervenire da Padre Carlo Longo.

La sera del 16 agosto 1913 don Antonio Longo, rettore della chiesa di San Domenico di Cammarata, aveva celebrato i vespri in onore di san Giacinto, santo del quale era devoto e del quale aveva portato il nome nel breve periodo in cui era stato frate domenicano. Il santo è raffigurato nel grande quadro posto sul primo altare a destra entrando in chiesa, mentre fugge nel 1241 da Kiev incendiata dai Tatari, portando con sé la pisside con le ostie e un’immagine della Madonna, che sarebbe quella che si conserva ancora annerita e bruciacchiata nel convento dei domenicani di Istanbul. Quella sera faceva grande caldo e qualcosa rimase acceso all’interno della chiesa, nel grande coro ligneo che circondava l’altare, forse l’incensiere. Una donna, che abitava nel quartiere di Sant’Agostino non riusciva a dormire e nella tardissima serata stava al balcone a prendere il fresco. Vedeva come dei bagliori di fuoco all’interno di San Domenico, chiamò i familiari, i quali dubitando delle sue capacità visive, la tranquillizzarono dicendole che erano le anime del Purgatorio che producevano quelle luci. Prima dell’alba, alcuni cammaratesi, tra cui Saverio Purpura, si stavano recando a caccia e videro fumo che usciva dalla chiesa. Diedero l’allarme, fu aperto il portone e ci si accorse  che il coro era in fiamme. Cominciarono a suonare a fuoco – una lunghissima serie di brevi scampanii fatti all’unisono – prima le campane di San Domenico, poi man mano quelle di tutte le chiese di Cammarata e San Giovanni.

Alle grida “Fuocu a SanNuminicu!” si svegliarono i due paesi e tutti accorsero a dare aiuto. Don Turiddu Pollina, che abitava nelle vicinanze, riuscì a prendere la pisside con le ostie consacrate e a portarla in caserma, dove i carabinieri la sistemarono su un tavolo ricoperto da un asciugamano. Arrivarono migliaia di persone, ma era impossibile spegnere il fuoco, che nel frattempo la tramontana, che aveva cominciato a spirare, aveva spinto verso il tetto, creando due focolai, uno al di sopra dell’altare di Sant’Antonio e un altro sopra quello di San Michele. Allora si organizzarono spontaneamente delle squadre che svuotarono la chiesa di quanto fosse possibile smontare, immagini di santi, arredi, altari, quadri, che, grazie a loro, possiamo ancora ammirare. Tutto fu depositato nella piazza antistante per essere poi trasportato in altre chiese. Si perdettero solamente il pulpito, l’organo, il coro con l’altare maggiore, sovrastato da un grande quadro che raffigurava la Crocifissione. Il tutto avvenne nel giro di brevissimo tempo e, quando i carabinieri si accorsero che ormai era pericoloso entrare in chiesa, ne ordinarono la chiusura.

Crollarono il tetto e buona parte dell’abside. Don Antonio Longo avrebbe voluto ricostruirla a sue spese, ma morì nel novembre seguente. Il comune al quale essa apparteneva promise la ricostruzione, ma non riusciva a mettere da parte i soldi necessari. Fu ancora una volta un movimento di iniziativa popolare, capeggiato da Enrico Longo e dai confrati di Sant’Antonio Abate, che l’8 maggio 1929 si impegnò nella ricostruzione della chiesa, lavorando e pagando in prima persona e coinvolgendo ancora una volta tutti i cammaratesi e tutti i sangiovannesi. Essa fu inaugurata da mons. Antonino Catarella il 5 maggio 1933. L’entusiasmo popolare ben due volte riuscì a fare miracoli.

La liturgia commemorativa del 17 agosto scorso, è stata celebrata in memoria di quelle migliaia di persone, anonime in buona parte, che si adoperarono per la ricostruzione della chiesa di San Domenico, ritornata nel frattempo, grazie anche all’opera del compianto mons. De Gregorio, quasi in tutto identica a quella che era prima dell’incendio.