
Qualche settimana fa ho trovato, fra le pagine di un codice del 1600, un seme di orzo. Almeno credo che sia orzo. Come potete constatare anche voi sulla fotografia, il suo aspetto è davvero sorprendente. Non si direbbe che abbia appena 413 anni.
E’ stato un momento davvero strano. In silenzio, tenendo quel seme sul palmo della mano, l’ho scrutato, aspettandomi da un momento all’atro, non so cosa! Avevo una speranza, non so quale, lo guardavo con speranza. Con cura poi l’ho conservato in un foglio di carta e infilato in una custodia. Un seme venuto dal passato a darmi una speranza.
E mi viene in mente la speranza di quell’uomo che, quattro secoli fa, spargeva questi semi sulla terra, la speranza che il buon tempo accompagnasse i giorni dell’attesa, i giorni invernali, quelli che servono per far germinare le piante. Attesa lunga, a volte troppo fredda e innevata, altre volte invece piovosa e umida. Immagino che la mattina presto, all’alba, stava col naso in su, con gli occhi piantati sul cielo, per spiare il futuro. Come centinaia, migliaia di altri uomini ha creduto nelle sue forze, nel suo lavoro e ha rispettato la sua terra, lavorandola con amore. E questa nostra terra, ha corrisposto quell’amore, sebbene qualche volta ci ha puniti.
Il seme è il passato, quello che è rimasto della pianta fiorita e arrivata alla sua maturazione, ma è anche il futuro, dentro la terra germoglierà per diventare una rigogliosa pianta e poi un frutto. L’uomo stesso è un seme, il passato e il futuro.