PRIZZI – Dopo gli attentati di Parigi, sotto attacco sono principalmente gli equilibri della vita quotidiana europea. L’attacco a Parigi del 13 novembre ha dato l’allarme e l’Europa si è riscoperta unita dallo stesso sentimento che l’ha divisa negli ultimi mesi in cui i flussi migratori si sono intensificati: l’antica paura dell’altro. In occasione del dibattito all’ITCGI di Prizzi, abbiamo ascoltato il parere di Jean-Pierre Darnis, vicedirettore del Programma Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma e docente all’Università di Nizza, che, dopo aver introdotto il dibattito spiegando le cause e le conseguenze degli attentati del 13 novembre, ha risposto alle domande degli studenti. Presenti al dibattito, gli studenti, il Sindaco Luigi Vallone, la Preside Lina Milazzo, il Presidente del Consiglio Comunale Giuseppe Castelli e Franco Campagna del Comitato Filaga-Monti Sicani, promotore dell’incontro.
Il dottor Darnis non ha dubbi nel sostenere che quello che è successo in Francia è avvenuto per alcune peculiarità del contesto storico, politico e sociale del paese, che nulla ha a che vedere, ad esempio, con il contesto italiano. Le ragioni delle dure misure adottate dall’Hollande politico dopo gli attacchi di Parigi vanno viste anche alla luce di un contesto nazionale particolare che, da lì a breve, avrebbe visto, alle amministrative di dicembre, la Francia minacciata da più di sei milioni di voti andati al Front National di Le Pen, diventato di fatto primo partito di opposizione del paese. L’attacco militare in Siria e il «pacchetto sicurezza», proposto da Hollande subito dopo gli attacchi del 13 novembre, rispondono, si legge su un articolo del 19 novembre a firma di Darnis su Il Foglio, a «una logica di guerra internazionale dello Stato Islamico in cui la Francia è un bersaglio importante» e che gli attentati potrebbero addirittura far parte di un piano più ampio dell’IS il cui scopo è innescare una guerra civile in Francia.
Secondo Darnis, gli attentati di Parigi si possono analizzare in base a una doppia dimensione, una esterna, legata allo scenario internazionale, e una interna, di «terrorismo interno al paese». Migliaia di cittadini francesi hanno concluso un percorso di formazione con lo Stato Islamico, passando anche la fase di indottrinamento in Siria e Iraq per poi tornare in Europa e continuare a mantenere i contatti con l’IS in rete. «Le persone coinvolte negli attentati sono quasi tutti cittadini francesi appartenenti alla seconda generazione di immigrati – ci spiega Darnis – e non sono persone arrivate in Francia recentemente. Per la maggior parte giovani figli di immigrati arrivati alla seconda o terza generazione, si lasciano sedurre da idee radicali e trovano nella violenza un mezzo per sfogare la propria insoddisfazione e risolvere le loro problematiche individuali. Si tratta principalmente di un problema identitario, che poco a che a fare con la religione. Si tratta di persone che cercano un loro posto nella società, faticano a trovarlo e vivono in una condizione di vuoto identitario, non riconoscendosi del tutto né nei valori francesi né in quelli della cultura di origine dei loro genitori».
Dal punto di vista della dimensione interna, la Francia si ritrova quindi a dover affrontare due problemi: da lato, combattere i fenomeni di criminalità interna e, dall’altro, risolvere il problema alla radice recuperando le persone sedotte dall’ideologia dell’IS. Come? «Attraverso un’educazione laica che permetta comunque ai giovani di ritrovare un contatto autentico con la loro cultura di origine, anche attraverso l’insegnamento della cultura e della lingua araba che non segua una linea educativa di stampo religioso», spiega Darnis.
Dal fronte interno a quello esterno, la dimensione della risposta francese al terrorismo si sposta sul macroscenario internazionale, dove è più facile comprendere le differenze di contesto tra Francia e Italia: come ci spiega Darnis, «mentre l’Italia possiede una Costituzione a vocazione prettamente pacifista, che invoca un uso limitato della forza e soltanto in circostanze particolari, la Francia si posiziona nel contesto internazionale come principale alleato USA, affermando la sua linea interventista. Questa la ragione per cui la Francia è un bersaglio particolare nei piani dello Stato Islamico».
Hollande ha giustificato a settembre i primi raid contro le forze dell’Isis citando la «sicurezza nazionale» e facendo appello all’UE per l’attivazione della clausola 42.7 del Trattato sull’Unione Europea che prevede l’assistenza dei paesi membri in caso di attacco, «cogliendo così il sentimento di solidarietà delle varie capitali europee e cercare di canalizzarlo in un’iniziativa politica», scrive ancora Darnis su Il Foglio. Dopo gli attentati del 13 novembre, Hollande ha affermato di essere in guerra, quando in realtà ha solo intensificato lo sforzo bellico del paese in Siria contro postazioni ISIS. La Francia è, infatti, una delle forze militari maggiormente coinvolte nell’opposizione occidentale al regime di Bashar Al Assad fin dall’inizio della crisi siriana, ma anche nella lotta al terrorismo da almeno quattro anni su vari fronti (Mali, Centrafrica, Libano, Iraq e Siria). E dalle ultime indiscrezioni apparse su Le Figaro lo scorso 23 dicembre, la Francia sarebbe pronta a chiedere l’appoggio di una coalizione internazionale per l’avvio di un’operazione in chiave anti-IS anche in Libia.
Giusi Francaviglia