Il Cinquantesimo di Sacerdozio di Padre Antonino Provenzano

Intervista a cura di Irene Catarella

Padre Antonino lei è originario di San Giovanni Gemini, ma adesso dove vive?
Adesso vivo a Loano in provincia di Savona in Liguria dove c’è un clima fantastico. Sono qui in convento e sono diciamo “il vecchietto” della casa. Sono nato il 10 febbraio del 1939 e quindi mi devo tenere giovane.

Com’è nata la sua vocazione?
Fin da piccolo andavo ai Cappuccini dove c’era un certo Padre Michelangelo che dava ripetizioni e io frequentavo la terza elementare. Poi sono diventato un chirichetto e sono stato sempre ai cappuccini tra una cosa e l’altra. Ne ho combinate delle mie, facendo parte della gioventù francescana tanto che mi chiamavano “il delegato” perché mi occupavo di tutto, curavo i chirichetti, curavo le celebrazioni in chiesa, insomma mi piaceva quel tipo di vita. Mi ricordo che c’erano Padre Vito, Padre Gaudenzio, Padre Filippo che poi è morto negli Stati Uniti, c’erano tanti frati inizialmente, ma poi da cinque si è passati a quattro per arrivare a uno, infatti, a un certo punto, volevano chiudere il convento e abbiamo fatto una lotta, abbiamo inchiodato tutte le porte del convento per non fare uscire i frati la mattina. Io avevo circa sedici anni e gridavo che non volevamo che si chiudesse il convento. Ero un giovanotto e di tanto in tanto suonavo pure l’armonium per le feste secondarie perché chi suonava sempre era il professore Biondolillo. Mi ricordo anche del Cavaliere Giuseppe Pellitteri, ministro laico del terz’ordine francescano, un vero benefattore.

Padre Antonino, lei è davvero un poliedrico di grande intraprendenza!
Facevo anche altro, infatti quando i frati sono diventati pochi, cucinavo io qualcosa per loro. Mi arrangio anche adesso, tanto che i miei confratelli mi chiedono ancora di fare la pizza.

Poi ha fatto il militare?
C’era Padre Fedele che insisteva che io non facessi il militare, ma poi siccome ero perfettamente in salute mi hanno fatto partire e sono andato a finire nella caserma di Pieve di Teco ad Albenga e lavoravo nella cucina degli ufficiali. La domenica uscivo dalla porta di servizio della cucina e andavo a messa dai Cappuccini del posto. Allora ero ancora un giovane francescano.

E quando ha finito il servizio di leva e ritornato in paese in Sicilia?
Quando ho finito il militare, sono rimasto lì a Pieve di Teco perché mio padre e mia madre si erano trasferiti a Milano e il Padre Guardiano mi disse: “Cosa devi andare a fare a Milano che ci sono freddo e nebbia? Resta qui che ti cerco un lavoro all’ospedale come aiuto infermiere”. Sono rimasto lì finché non mi sono fatto frate mentre lavoravo all’ospedale e i frati mi hanno accolto con gioia anche perché sapevo fare un po’ di tutto. Sono ritornato in Sicilia già frate. Andavo di tanto in tanto a Milano a trovare i miei, tanto che mia madre è volata in cielo sei mesi dopo mio padre quando io ero con lei solo a casa perché mia sorella Concetta era in campagna, mio fratello Vincenzo in America e mio fratello Pierino in Sicilia. In seguito sono stato a Savona, ho studiato teologia e mi sono laureato.

E la sua ordinazione sacerdotale quando è avvenuta?
Il 13 agosto 1972 a San Giovanni Gemini uno o due anni prima del previsto visto che ero già trentenne. Sono stato ordinato da Monsignor Antonino Catarella di Cammarata, Vescovo di Piazza Armerina, un uomo signorile e buono che non ha voluto neanche l’offerta come si usava fare ai vescovi per l’ordinazione. Con me sono stati ordinati Padre Vincenzo Scrudato pure sangiovannese e un mio confratello che veniva dalla Liguria, Padre Agostino, che però doveva prendere il diaconato ed è venuto con me in paese. Eravamo in Chiesa Madre ed era piena zeppa di persone. È stata una bella ordinazione con una trentina di frati e tanti preti, come Padre Amormino, l’arciprete di allora Don Giuseppe Traina, che ha fatto stampare i libretti per la cerimonia e ha organizzato tutto, e il fratello Don Totò, Padre Russotto che faceva il cerimoniere, Padre Chimento e tanti altri. Abbiamo invitato tutto il paese in convento e abbiamo offerto confetti, paste bianche e tanti dolci.

I suoi genitori sono stati contenti di questa scelta?
Mio padre Giuseppe mi disse che prendere i voti era la cosa più bella del mondo. Ho lavorato con mio padre che innestava le vigne a San Giovanni e io andavo dietro di lui a legare gli innesti durante l’estate così guadagnavo qualcosa. Tutti, compreso mio padre, mi incoraggiavano sempre ad andare ai cappuccini per cucinare a Padre Guardiano.

Dopo l’ordinazione è tornato in Liguria?
Dopo la messa sono stato Direttore del liceo e Maestro dei novizi. Poi mi hanno detto che anche in Perù richiedevano un Maestro dei novizi e mi hanno chiesto se volessi andare. Io ho risposto che l’avrei fatto con grande piacere, senza pensarci due volte. Mi sono preparato a Verona imparando un po’ la lingua, gli usi e i costumi e, dopo una grande festa a Savona, sono partito nel 1983 il giorno dell’Immacolata e sono andato prima da mio fratello Vincenzo negli Stati Uniti e poi il 6 gennaio sono arrivato in Perù come i Re Magi.

Ed è iniziato il suo servizio in Perù. Ci può descrivere questa esperienza così particolare?
In Perù sono andato ad abitare in convento e sono stato nel collegio con mille alunni così ho imparato bene il castigliano. Poi ho finito la costruzione della Casa del Noviziato, chiamata “la Nãnã”, cioè la bambina, facevo la direzione spirituale in collegio, dicevo la prima messa nella parrocchia Cristo Salvador, ma anche la messa dei bambini delle dieci che era sempre una festa in cui tutti mi dovevano dare il bacetto della pace. C’erano mille bambini che si mettevano tutti in fila davanti l’altare per darmi questo bacetto. I peruviani sono un popolo buono e affettuoso e, quando ti vedono amico, ti danno anche il cuore. Quando arrivavo in una casa era sempre una festa. Una volta sono andato a portare la comunione a una malata e mi ha aperto la nipotina che quando mi ha visto ha esclamato: “Nonna, nonna, è arrivato Padre Antonino! È arrivato il ‘pan di cada dia’, il pane di ogni giorno”. Il mese di agosto era dedicato ai malati, andavamo a confessare. Avevamo quaranta ministri straordinari perché la nostra parrocchia contava settantamila persone animate da grande fede.

Quindi si avvaleva di tanti collaboratori?
Con i catechisti, per esempio, preparavamo le “charle”, le lezioni che poi avrebbero fatto ai cresimandi, scegliendo diversi temi. Ogni volta avevamo circa settecento ragazzi da cresimare e veniva il Vescovo Lino Panizza, un mio confratello e amico di origine ligure. Abbiamo fatto tanto insieme.

I riti sono uguali ai nostri?
Assolutamente sì. Ho celebrato infiniti sacramenti. Quanti matrimoni! Lì si fanno dal giovedì al sabato e addirittura in un giorno anche due. Mi chiamavano il “Padre dei matrimoni”. I battesimi si celebravano contemporaneamente, ma anche a turni continuativi. Stavo con le mani in acqua un giorno intero, bagnando teste di chi non era battezzato. Più acqua versavi, più contenti erano. Per la Prima Comunione, dopo la celebrazione, nel salone della parrocchia, alcune signore offrivano ai ragazzi il “chocolatte”, cioè il latte con il cioccolato. C’erano diversi turni che iniziavano per l’Immacolata quando da loro inizia l’estate. A Chorrillos, dove ho avuto l’ultima parrocchia, avevo duecento catechisti per la prima comunione e per la cresima. A Natale distribuivamo i panettoni che ci venivano donati da un mio amico che era proprietario, insieme ad altri cinesi, della più grossa fabbrica di fiammiferi del Perù.

Con il suo bel carattere sempre sorridente e gioioso, lei ha avuto tanti amici, quindi.
Sì, davvero tanti con cui ho sempre avuto un rapporto gioioso. Qui a Savona mi prendono in giro in modo bonario e mi dicono che, chiamandomi Provenzano di cognome, faccio i “bigliettini biblici”, i “pizzini” di bene al contrario di Bernardo Provenzano.

Il numero dei fedeli in Perù è moltiplicato rispetto a quello di ogni singola nostra parrocchia.
In Perù ho fatto per otto anni il Maestro dei Novizi, poi sono tornato a Lima e mi hanno fatto Superiore a Chorillos, parrocchia di 150 mila persone, ed ero collaborato da nove frati. Certe volte dovevo dire cinque messe per accontentare tutti i fedeli. Avevamo 108 chiese nel distretto.

Facevate anche le processioni?
Certo! La più importante era quella del Signore dei Miracoli per tutto Ottobre, che per loro è il mese “morado” perché corrisponde alla Quaresima e tutti si vestono di viola. Si tratta di un quadro che si porta in processione per 24 ore su di una vara pesantissima rivestita di argento e decorata con angeli e fiori, mossa da 70 persone. Momenti di fede ce ne sono lì e ogni occasione è buona per fare processioni. Inoltre, alla fine di ogni messa mi mettevo davanti la porta della chiesa a benedire tutti con un ciuffo d’erba e un secchio di acqua benedetta perché erano tantissimi i fedeli presenti. E tutti mi baciavano, come usano fare loro, per dimostrare il bene che mi volevano.

Dopo venti anni di abitare in Perù, è ritornato in Italia?
Si erano ordinati sacerdoti molti ragazzi locali, quindi io me ne sono ritornato in Italia e sono andato nell’infermeria del Convento di San Bernardino a Genova con i frati malati. Ne facevo di tutti i colori con chi mi collaborava per rallegrarli per ciò che si poteva. Dopo sono passato qui a Loano, dove i frati mi rispettano e ci vogliamo bene. Figurati che il Padre Gonzalo, il Guardiano di qui, è stato mio novizio in Perù. Siamo in quattro, tre sacerdoti e un fratello, abbiamo due aiutanti, la cuoca, ma perché questa nostra parrocchia Santa Maria Immacolata è abbastanza grande, infatti conta quattromila anime in inverno, ma in estate il numero si triplica con chi viene in villeggiatura. A distanza di anni le persone ritornano qui e si vengono a confessare. Io in genere do come penitenza di pregare per me, come dice il Papa, e di recitare il Santo Rosario. Diciamo la messa ogni giorno e il mercoledì alle 21 il Rosario e l’Adorazione eucaristica comunitaria.

Ma oltre questo, durante l’estate, organizzate altro?
Organizziamo diverse sagre con tante persone che vengono a mangiare e tanti parrocchiani che ci aiutano.

Il Cinquantesimo è una tappa importante nella vita di un sacerdote.
Sicuramente! Per me non è cambiato niente in questi anni perché vivo il mio ministero all’insegna della gioia, della condivisione con gli altri, del servizio, e continuerò sempre così. La vita della comunità è bellissima se si affronta con il sorriso. La vita è bellissima se si affronta con il sorriso.

Vogliamo ringraziare Padre Provenzano per la fede gioiosa che ha diffuso in questi suoi anni di ministero e che ci continua a trasmettere. Tanti auguri per il suo Cinquantesimo di Sacerdozio!

Irene Catarella