Prizzi, i Garibaldini e la storia che (non) insegna. L’invito a ricercare la verità nell’ultimo saggio di Carmelo Fucarino

PRIZZI – «La storia va letta da diversi punti di vista, andate oltre le parole scritte» è l’invito che il Professore Carmelo Fucarino rivolge alla platea durante la presentazione a Palermo, in anteprima nazionale, del suo ultimo saggio “Se nulla cambiò. I Garibaldini a Prizzi”. Un invito ad andare fino in fondo alla verità dei fatti, per recuperare tratti di storia mai venuti alla luce o volutamente celati. È quello che fa il tenace professore prizzese nel suo ultimo saggio sull’impresa dei Mille, «un libro scritto bene perché c’è cuore, intelligenza e passione», commenta il Professore Manlio Corselli, durante la presentazione del libro a Palermo, lo scorso 13 aprile.

Professore di latino e greco, in pensione, scrittore e saggista, Carmelo Fucarino è autore di numerose opere sulla società greca e latina e sulla storia di Prizzi. Con un intento storiografico chiaro sin dalle prime pagine, lo scrittore non sacrifica comunque la cura letteraria, riportando i fatti storici attraverso la buona narrazione. Partendo dal noto aforisma gattopardiano «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi», il saggio opera una rivisitazione e rilettura critica dell’impresa, da sempre glorificata come atto di liberazione, e della stessa figura leggendaria di Copertina-se nulla cambiòGaribaldi, personaggio storicamente vestito di mito e orgoglio patriottico. Un «racconto onesto», per usare le parole dello storico Pasquale Hamel, che porta alla luce dettagli poco noti delle spedizioni (sarebbero infatti state più di una – ci dice il professore – con più di diecimila garibaldini) e ripercorre i fatti salienti dello sbarco e dell’entrata in Sicilia. Attraverso i diari di viaggio, lo scrittore segue i percorsi dei giovani garibaldini verso l’entroterra siciliano fino all’arrivo a Prizzi, questo villaggio di circa otto o novemila abitanti, perso tra le montagne, in un territorio quasi inesplorato che i giovani, venuti dal Nord, immaginavano fermo al Medioevo per usi e costumi. Tra i racconti, l’autore si dice colpito da quello di un giovane varesino, Giulio Adamoli, che racconta come, arrivato alle porte di Prizzi per rispondere alla violenza di alcuni prepotenti e ristabilire la calma, scopre la “favolosa accoglienza di quei buoni abitanti”. La sorpresa fu grande: «Sorpresi della inaspettata accoglienza, ci abbandoniamo anche noi alla giocondità di quell’ora […]. Trasecolammo di trovare lassù tanto lusso di arredi e tanta squisitezza di conforti nelle ricche abitazioni, in cui fummo colmati di cortesie», scrive Adamoli, proclamando «Prizzi la perla e i suoi abitanti gli eletti della Sicilia».

Pur riconoscendone il valore storico nel più ampio scenario storico-politico dell’Unità d’Italia, l’autore svela come ci sia poco di eroico rispetto a ciò che è stato raccontato, si trattò per lo più di un «patriottismo ambiguo e di parata»,  nelle parole di Elio Giunta, e che i Garibaldini trovarono piuttosto condizioni favorevoli per riuscire a penetrare nei territori dell’entroterra. Per di più, «l’eroe dei due mondi non era il cavaliere “biondo e di gentile aspetto” ma un maturo signore carico di acciacchi e baciato dalla fortuna, che amava l’azzardo», come si legge nel commento al testo di Pasquale Hamel.

Ad accrescere il valore poco eroico delle spedizioni, anche il pregiudizio, mai nascosto, dei garibaldini nei confronti della gente del Sud Italia, e in particolare della Sicilia. «Cesare Abba, come molti altri, descrive le persone con grande senso di repulsione – commenta il Professore – dimostrandosi ostile nei confronti del diverso e testimoniando un’ignoranza socio-politica diffusa». Come non mancano, nei diari dei garibaldini, descrizioni di un modo di vestire definito orribile, di lunghe barbe incolte e di altre valutazioni su base etnica della gente del Sud.

Di contro, la sorpresa, già ricordata, della testimonianza di Adamoli sulla gente di Prizzi che, in una lettera alla madre, scrive addirittura di voler tornare presto in quelle terre straordinarie per cercare fortuna. «La diversità non dovrebbe mai essere usata come scusa di maggiore civiltà. Oggi, come ieri, il rispetto è l’unico indice di civiltà e la cultura l’unica arma contro l’ignoranza e il pregiudizio», commenta il Professore. Mai lezione fu più attuale. E lo dimostra quando, parlando del suo ultimo viaggio a New York, dove è stato recentemente ospite al The Leopard at des Artistes per presentare il suo ultimo libro, ci racconta dei numerosi prizzesi che lì, tanti anni fa, si sono trasferiti in cerca di fortuna e sono oggi non più ospiti, ma cittadini, risorse attive per il territorio. «Ricordo con grande emozione il primo viaggio a New York, quando mi ritrovai a essere promotore di un meeting fra tutti i prizzesi residenti nella città che, in quell’occasione, si incontrarono per la prima volta. Ne fui davvero felice», racconta lo scrittore. Storie di immigrazione a lieto fine, lontane nel tempo, spesso dimenticate oggi, quando si erigono muri materiali e mentali davanti a persone in fuga, che partono verso nuove terre con la stessa speranza di una vita migliore. Nonostante la storia si ripeta, questa è pur sempre un’altra storia.

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La presentazione del libro al The Leopard at des Artistes, New York

La storia di una Sicilia schiava del passato sembra invece ripetersi e trova le sue radici nelle conseguenze della tanto celebrata “liberazione” della Sicilia. Dopo l’unità d’Italia, la situazione socio-economica dell’Isola non cambia e le promesse dell’eroe dei due mondi sono pesantemente deluse: il Nord continua a crescere mentre il Sud è ancora oppresso, questa volta dalle politiche annessionistiche del governo piemontese, incurante delle esigenze locali. Oggi, il divario Nord-Sud è ancora un tema che scotta, più nella vita quotidiana dei singoli cittadini che nelle aule parlamentari. La storica “questione meridionale” resta irrisolta: «Dalla Cassa del Mezzogiorno ai più recenti Fondi Strutturali, nessun tentativo è riuscito a colmare il divario, anche per incapacità dei meridionali», dice il Professore.

Non a caso, l’ironia dell’opera di Fucarino cede il passo, sul finale, al sarcasmo drammatico di chi vede nella sua Sicilia una triste terra condannata a un destino cui quasi sempre si arrende. Lo stesso titolo, “Se nulla cambiò”, volge il suo sguardo al passato ma, allo stesso tempo, intende aprire le porte a un futuro forse lontano ma possibile, fornendo spunti per nuove riflessioni. Lo storico si fa maestro, dice la sua, a gran voce, tanto ai personaggi di un tempo quanto a quelli di oggi, offrendo al mondo il suo occhio vigile per far luce sulla contemporaneità. L’auspicio è che qualcuno vada finalmente oltre le parole scritte e lo ascolti davvero.

Giusi Francaviglia