Ritratto di Valledolmo in poesia

COPOERTINA Lo TempioNelle pagine del libro di poesie titolato “ Cuntrati paisani”  si rivivono momenti della vita di un paese, nella quale confluisce l’accadere delle singole vite dei suoi abitanti, mi viene da dire figli, perché  Salvatore Lo Tempio, l’autore delle poesie, ci presenta Valledolmo come un genitore. Non  un agglomerato di case, di vie, di scalinate, piazze e palazzi inanimati, distaccati e freddi, ma un corpo che respira, nel quale scorre l’amore della sua gente. Certo con le contraddizioni, con le contrapposizioni e i dolori, ma anche con le gioie, i piaceri e le soddisfazioni proprie del genere umano.

Si ripercorre la nascita del paese, c’è la seconda guerra  mondiale, con  la sofferenza  non solo materiale, tangibile, ma anche con il  patimento dell’anima e  la paura  della fine. Vengono fuori personaggi del quotidiano con le loro caratterizzazioni, in alcuni casi anche caricature ma garbate, mai scurrili, pesanti, e poi le tradizioni religiose, quelle gastronomiche e qualche vecchio mestiere.

Il nostro tempo, il presente non è stato dimenticato, ai nostri giorni è dedicata una particolare attenzione, critica in alcuni casi, benevola in altri. Si avverte sempre la grande intensità con la quale Lo Tempio ha vissuto queste parole, perché egli prima di scriverle le parole le ha vissute, e ci si rende conto di ciò soprattutto quando scrive della madre.

Tutto questo esposto in Lingua  Siciliana, quella però parlata nel proprio luogo, utilizzata dai nonni, dai padri, utilizzata dalla  generazione dell’autore che non ha voluto rifarsi alla letteratura siciliana, al Siciliano scritto antico e moderno, sostanzialmente uniforme,  che gli avrebbe consentito l’uso di una lingua standardizzata. Una scelta istintiva non certo presuntuosa, ne è testimone la presenza di alcune  contaminazioni, infatti alcune parole appartengono alla Lingua Italiana.

Sono approcci sinceri, onesti, senza pretese, come egli avverte “se la passione spinge a poetare, avendo l’ispirazione,  per una volta si può provare”.  Non c’è la ricercatezza architettata e costruita,   non c’è l’arteficio, ma c’è il frutto di un lavoro che definirei  di buon artigiano, fatto con amore e semplicità e la grande forza di credere nei propri sentimenti.            

Grande è stato l’impegno, lo sforzo di mantenere la rima, scelta per qualcuno opinabile, ma per Salvatore Lo Tempio di fondamentale importanza, perché così lui ha studiato la poesia, in rima.