15 maggio ’46, lo Statuto speciale. “La terra di mezzo. Sicilia tra autonomia e Costituzione”

Meno che nazione, la Sicilia è più che regione;

 non un frammento d’Italia,

ma sua integrazione e aumento.

(Giuseppe Antonio Borgese)

«Si era fatta l’Italia, chissà quando si sarebbero fatti gli Italiani» affermava Massimo d’Azeglio all’indomani dell’Unità. «Occorre che tutto cambi per restare tutto com’è» sosteneva il Gattopardo letterario. In entrambe le vedute, la prima di aspettativa l’altra di rassegnazione, si nascondeva tuttavia la comune consapevolezza che il passato ormai nulla più aveva da insegnare alla generazione formatasi sul mito del Garibaldi, eroe, conquistatore e portatore – si diceva – di libertà.

A torto o a ragione, dunque, il glorioso Regno d’Italia insediatosi, aveva riunito sotto un unico vessillo l’Italia frammentata dei dialetti e delle ricchezze mal distribuite, di una società del latifondo, economicamente forse più vicina a quella medievale. Gli italiani si sarebbero ‘fatti’ molti decenni dopo, sotto le bombe della Grande Guerra, e sotto gli orrori del fascismo, quando ci si riconobbe fratelli partigiani, nelle viscere delle montagne di confine, dove si combatté non più per un re, ma per la vera libertà. E nel referendum del 1942 gli italiani preferirono la repubblica alla monarchia.

I padri costituenti, tra i quali figuravano Gramsci, De Gasperi, La Pira, Mortati, redassero dunque la Costituzione italiana, grande lavoro di sintesi e compromesso tra i contrastanti interessi dei partiti (cattolico, socialista, comunista, repubblicano, democratico), e la vollero rigida, a presidio non soltanto della supremazia dell’ordinamento, ma anche a garanzia degli abusi dello stesso. I lavori dell’Assemblea Costituente, iniziati nel 1946, portarono alla creazione della legge più forte, consapevole atto di volontà popolare, e limite all’arbitrio politico che in passato aveva portato all’instaurazione del regime, legge fondamentale dello Stato, non più concessa dal sovrano (come il precedente Statuto Albertino) ma espressione della sovranità del popolo.

Essa entrò in vigore il 1° Gennaio del 1948 sancendo che «La Repubblica – democratica e fondata sul lavoro – si riparte in Regioni, Province e Comuni». Ad alcune Regioni e Province venne riconosciuta autonomia statutaria e non per caso. Emblematica la storia della Regione Siciliana.

La Sicilia il suo Statuto Speciale l’aveva avuto con il Regio Decreto Legislativo n. 455 il 15 maggio del 1946, prima dunque che la Costituzione fosse stata soltanto pensata.

L’isola possedeva una forte coscienza politica, e molti intellettuali illuminati mal tollerarono che i governanti del tempo rinunciassero ad una gestione in proprio della terra di Sicilia.

Già in epoca preunitaria, infatti, si erano fatti sentire i movimenti indipendentisti (tra questi il più forte fu quello guidato da Antonio Canepa), che si erano pure opposti all’unificazione. Padri del separatismo furono i siciliani Giuseppe Alessi, Salvatore Aldisio, Enrico La Loggia, Giovanni Guarino Amella, Gaspare Ambrosini, Andrea Finocchiaro Aprile. La storia registrò che l’autonomia sperata venisse più volte tradita, ma l’eco di quel sentimento rimase, e tangibile, nell’assetto giuridico dello Stato.

La specialità si traduceva in autonomia politica, legislativa e finanziaria, che venne peraltro rinforzata, in tempi non più sospetti, dalla Riforma Bassanini del 1997 (che estendeva la funzione amministrativa delle Regioni anche alle materie nelle quali lo Stato aveva la titolarità della funzione legislativa) e dalla recente Riforma del Titolo V della Costituzione realizzata dalla legge cost. 3/2001, che ha portato alla creazione di una Repubblica delle autonomie.

In virtù di quest’ultimo provvedimento alle Regioni venne attribuita potestà legislativa concorrente su moltissime materie elencate nell’art.117, e in tutte quelle non espressamente richiamate e che non rientrano nei compiti dello Stato ivi citati anch’essi, sulla base di un principio sussidiario operante ora non più per gerarchie, bensì per competenze.

Ma a cosa è servita una riforma simile ad una Regione a cui sono già state riconosciute molte prerogative per via della specialità del proprio Statuto? Esso è da ritenersi superato o integrato dalle nuove disposizioni? I più optano per la seconda lettura, tendente ad un accorpamento di diritti, che sono allo stesso tempo doveri. Ma lo Statuto, di fatto, non è stato attuato, e se lo è stato solo parzialmente, pur garantendo tutele e attribuendo guadagni alla Regione e ai Siciliani.

A ragion veduta diversi movimenti contemporanei ne rivendicano e a viva voce l’applicazione, ma questa è un’altra storia.