Il calcio può essere uno sport capace di educare?

A quasi un mese dai gravissimi scontri scoppiati a Port Said in Egitto, dopo il match tra l’Al-Masry e l’Alhly, il mondo del calcio è chiamato a ricordare e soprattutto a riflettere su una tragedia sportiva che non solo ha provocato circa settanta vittime, ma ha anche suscitato una serie di dubbi sulla reale capacità pedagogia di questo gioco. Nello specifico, il sistema calcio ha il dovere di istruire tutti gli appassionati ai sani principi dello sport, riportando alla luce quegli aspetti educativi che oggi ci sembrano così improbabili e rari all’interno di questo universo. Ma dopo disgrazie di simili dimensioni, come può il Calcio essere considerato ancora un  mezzo di educazione?

LA SCUOLA DI CALCIO, UN MODELLO DI VITA – Per trovare un’adeguata risposta a tale quesito, occorre per un istante dimenticare il “centro” di questo mondo con tutti i suoi problemi e i suoi interessi e ricordare l’importanza pedagogica della sua “periferia”, caratterizzata dalle scuole di calcio. E’ proprio all’interno di questi istituti che attraverso il gioco del calcio, si insegnano agli alunni oltre che le regole di un gioco, anche quelle della vita quotidiana. Le scuole di calcio rappresentano per i giovani uno stile di vita,  un canale socializzatore, all’interno del quale si educa al concetto di lavoro di squadra, allo spirito d’amicizia e alla deontologia legata a generosità e altruismo. Inoltre questi settori giovanili, costituiscono per i ragazzi una reale alternativa alle molteplici tentazioni che l’odierna società propone, allontanandoli da problemi sociali quali droga, violenza e alcool. Senza dubbio, al centro di tale insegnamento si colloca una fondamentale figura professionale, l’allenatore.

UN MAESTRO PER I GIOVANI – Il ruolo del tecnico è un compito di cruciale importanza. Infatti, a lui è assegnato il difficile incarico di formare non solo campioni, ma soprattutto uomini. L’insegnante deve essere per i suoi alunni un modello stabile su cui fare sempre affidamento. Alla base del suo agire, l’allenatore deve essere abile a comunicare i propri pensieri e a tramandare ai suoi allievi i propri ideali. Il tutto allo scopo di trarre da ogni ragazzo il massimo delle proprie potenzialità. Inoltre, è importante per il tecnico individuare ed analizzare i fattori cognitivi dei suoi giovani, ad esempio il profilo personale del giocatore, l’aspetto emotivo, le esigenze e le aspirazioni. Purtroppo, queste caratteristiche appena descritte, che teoricamente dovrebbero costituire i capisaldi della filosofia di ciascun allenatore, in realtà, vengono spesso accantonate. Infatti, è innegabile che oggigiorno molti tecnici, dimenticando le posizioni che rivestono, si lasciano accecare da quel desiderio di vittoria che non permette loro di focalizzare il reale scopo del calcio, cioè l’educazione.

IL CALCIO PER L’EDUCAZIONE – Giunti a questo punto della nostra analisi ritorniamo inevitabilmente alla domanda di partenza: cosa deve fare il calcio per essere ancora considerato un mezzo di educazione? Per riacquistare la sua funzione educativa, il mondo del pallone deve cambiare radicalmente il modo di interpretare questo sport. Il cambiamento deve partire dalla categoria dei cosiddetti “adulti”, i quali hanno il compito di far comprendere ai propri ragazzi il vero significato di questo gioco. Occorre sottolineare che il calcio è una gioia, una passione, un modo per divertirsi a contatto con gli altri. Ma per raggiungere tale fine è necessario che i grandi in primis cambino il proprio modo di concepire questo gioco. Essi devono credere realmente che il calcio sia un semplice sport, per far sì che il messaggio educativo possa essere attendibile agli occhi dei più giovani. Dal canto suo, il mondo del calcio, deve far di tutto per recuperare il suo carattere pedagogico. Utilizzando la popolarità e l’attrazione mediatica che lo caratterizza, esso deve promuovere progetti volti ad educare e far crescere le persone ai valori etici dello sport. Il calcio, se usato bene, può essere uno strumento di inserimento e (re)integrazione sociale. Ad esempio a Cammarata da diversi anni l’Associazione ARCA utilizza il calcio e lo sport in generale per favorire l’integrazione di ragazzi diversamente abili. Solo mediante lo sviluppo di queste iniziative, possiamo cambiare il sistema allo scopo di evitare che incidenti come quelli avvenuti in Egitto si ripetano. Arrivati a questa conclusione, mi sorge un nuovo quesito: il mondo del calcio è realmente pronto a questa trasformazione educativa?

Paolo Militello

 Foto: Gianpiero La Palerma