MUSSOMELI – “C’è molta ipocrisia sul tema dell’accoglienza e sempre più ci si imbatte in realtà improvvisate e sprovvedute“. La posizione del Sindaco di Mussomeli in tema di migranti si inquadra all’interno di una comunità che non ha mai sperimentato esperienze come lo SPRAR (conclusosi recentemente invece a San Giovanni Gemini) ma che registra una richiesta in corso di autorizzazione fatta in Assessorato da parte di una cooperativa sociale intenzionata a muoversi per l’apertura di una struttura di accoglienza di migranti nel comune nisseno.

“L’accoglienza senza integrazione sociale è pericolosa – commenta il Sindaco Catania – e per fare buona integrazione occorre che ci siano strutture che abbiano esperienza alle spalle. Invece a Mussomeli si sta verificando il caso di neonate strutture senza una adeguata storia professionale, che non hanno la piena contezza delle attività che saranno chiamate a svolgere. Sono contrario a chi specula sull’accoglienza, a chi prende dieci ragazzi sfortunati, li mette in una stanza e spaccia questa attività per integrazione e attività sociale, cosa assolutamente falsa. L’integrazione sociale è una cosa seria e sono contrario alla nascita di realtà improvvisate”.

Quali premesse servono perché una realtà del genere sia credibile?

“Un progetto serio deve preliminarmente costruire una rete sociale sul territorio siglando protocolli di intesa con le associazioni di volontariato, con le associazioni di categoria per l’integrazione lavorativa, con associazioni sportive per lo scambio di esperienze con ragazzi”

Che danni possono arrecare realtà improvvisate?

“Per mio vissuto personale conosco il settore, ho avuto modo di conoscere e visitare, in qualità di consulente, strutture che si occupano accoglienza. Conosco molte cooperative e so quali possono essere le problematiche. Queste strutture vengono pagate 45 euro giornaliere per ogni minore. In questo momento storico i tempi di pagamento da parte del Ministero dell’Interno si aggirano all’incirca dai 10 ai 12 mesi, quindi chi gestisce deve avere una certa disponibilità finanziaria per poter anticipare gran parte delle spese subito di tasca propria in attesa del rimborso. In questi dieci mesi il personale va ovviamente pagato, così come i contributi, il vitto e l’alloggio. Ci sono strutture serie, ben organizzate, che riescono a gestire questa situazione e strutture improvvisate che si trovano poi in grande difficoltà, tant’è che il turnover degli operatori è molto alto, e molti dipendenti scelgono di andare via in poco tempo. Mi chiedo che integrazione individuale possa esserci per un ragazzo straniero che avrà degli operatori che cambiano con una frequenza di tre-quattro mesi. Il rischio è quello di non fornire reale aiuto ma piuttosto danneggiare le persone accolte”.

Quello che accade all’indomani dei drammatici sbarchi sulle coste siciliane è un’operazione di identificazione e smistamento dei migranti. Dopo la primissima accoglienza che consiste nel trasferimento dei richiedenti asilo negli hotspot – dove la permanenza dovrebbe essere di soli pochi giorni – , si passa alla prima accoglienza durante la quale i richiedenti protezione internazionale sono ospitati per alcuni mesi in centri CARA, CDS O CAS. Poi ci sono i cosiddetti Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati: una rete di enti locali (382 nel triennio 2014-2016) che gestiscono “progetti di accoglienza integrata”, accedendo così al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

Accanto agli esempi di speculazione ci sono molti esempi di progetti ben riusciti come l’esperienza suterese alla ribalta delle cronache nazionali ed internazionali diventata esempio di buona pratica di integrazione.

“Infatti io sono d’accordo sull’ospitalità diffusa e sull’accoglienza di famiglie e ragazzi all’interno di nuclei familiari. Lo trovo un percorso virtuoso, ma serve conoscere da vicino anche queste storie. I dati ufficiali del Ministero dell’Interno sugli sbarchi in Sicilia dicono che l’88% degli sbarchi è rappresentato da una forte componente di ragazzi che dichiarano di avere un’età che va dai 17 ai 18 anni. In realtà non è così. I ragazzi sono sprovvisti di documento di riconoscimento, e nel momento in cui vengono fermati per verificare le proprie generalità dichiarano di essere minorenni o neomaggiorenni, quando in realtà dalle verifiche e dalle analisi del polso (che forniscono con una certa attendibilità l’età delle persone) viene fuori che questi ragazzi hanno dai 24 ai 26 anni.

Il “bluff” è una conseguenza dalla normativa regionale che vuole che ragazzi fino ai 14 anni siano ospitati all’interno di famiglie e non in comunità alloggio. Mentre dai 15 ai 18 anni è possibile che vengano ospitati all’interno di strutture per minori stranieri non accompagnati. Bisognerebbe affrontare il tema con uno spirito critico senza assumere posizioni preconcette, con un obiettivo chiaro ovvero favorire l’integrazione e non la speculazione sullaccogenza”.